Fino allo scorso anno si parlava di Ebola come pericolo potenziale mortale per l’uomo. Ma se ne parlava come se un’infezione globale non sarebbe mai arrivata. Quando invece hanno iniziato a diffondersi i primi focolai l’emergenza pandemica è apparsa in tutta la gravità. Molte teorie della cospirazione hanno a che fare con Ebola, definendolo una variante di virus impazzita, sfuggita dalle mani di un biologo asserragliato dentro un laboratorio di ricerca di una big pharma. In realtà la scoperta del virus avvenne tramite l’osservazione dei sintomi in Zaire, l’ex Congo Belga, nel lontano 1976, anche se il primo focolaio potrebbe essere partito dall’attuale Sudan del Sud. Per decenni se n’è parlato come di una malattia mortale, sconosciuta, per la quale non avevamo risposte. Invece, nel 2015, abbiamo conosciuto due casi di italiani ammalati gravemente e guariti, nonostante l’infezione contratta in loco. Come è stato possibile questo straordinario risultato?
I sintomi di Ebola
Negli stadi iniziali della malattia i medici hanno notato l’insorgenza di tipici dolori influenzali, che infatti sviano completamente l’attenzione. L’infermiere sardo ammalatosi la scorsa primavera, per esempio, si era fatto originariamente controllare per sintomi influenzali, che in quel luogo e in quella situazione hanno subito provocato l’applicazione del protocollo di sicurezza. Al mal di testa e al mal di gola, ai dolori muscolari agli arti, nei giorni successivi, negli stadi avanzati dell’infezione si sostituiscono il vomito, la diarrea e problemi epatici e ai reni. La febbre raggiunge uno stadio di temperatura elevato, i fluidi del corpo sono infetti e le emorragie interni portano rapidamente alla morte. All’inizio la malattia fu scambiata per la malaria, ma il chinino fu inefficace nel primo caso conosciuto e in quelli simili.
Da dove viene il virus?
Nonostante anni di ricerca i medici e gli scienziati non hanno ancora trovato il vero paziente zero. Per l’esplosione dell’epidemia degli ultimi tempi hanno indicato in un bambino di due anni la causa scatenante. Forse si era infettato mentre giocava vicino a una colonia di pipistrelli? Così’ dice l’autorevole Istituto Rober Koch di Berlino. Eppure la fonte iniziale rimane oscura. Le domande cui rispondere non sono semplici.
Dove si è originato per la prima volta? Chi è il paziente zero? E’ possibile che il virus compia un salto di specie? Se si, quali sono le specie coinvolte? Nell’infezione del 2014 le aree più colpite sono state quelle dell’Africa orientale, principalmente la Liberia con circa 2000 casi, poi Sierra Leone, Guinea e in misura minore la Nigeria. Nel caso della prima scoperta, nel 1976, i casi invece avevano riguardato l’Africa equatoriale e cioè appunto lo Zaire, il Sudan del Sud, il Gabon, il Congo-Brazzaville, l’Uganda, il Kenya e la Tanzania. Nel 1976 queste epidemie non erano collegate tra loro come nel 2014. Entrambi i tipi di Ebola però si contraggono per contatto personale, nelle cliniche e negli ospedali, attraverso lo scambio di fluidi, tessuti, organi e sangue. Maneggiare e pulire cadaveri e corpi di persone morte di Ebola, nonché usare scarsa igiene negli ospedali e nelle strutture mediche di fortuna aveva contribuito, allora come oggi, a diffondere la malattia. Il problema era comunque il contatto umano, soprattutto il sangue. (fine prima parte)